L’8 settembre a Koboko si è celebrato la Giornata internazionale della gioventù. L’evento è stato organizzato dalla municipalità nell’ambito del progetto “’Inclusive Urban Development and Mobility Action” (Azione di mobilità e sviluppo urbano inclusivi) e grazie ai finanziamenti dell’European Trust Fund.
Il tema della manifestazione era “Solidarietà intergenerazionale: creare un mondo per tutte le età”. Il problema del divario intergenerazionale in Africa è, infatti, sempre più grave a conseguenza della rapida digitalizzazione e dell’urbanizzazione. Oltre ai momenti di musica e svago ci sono stati alcuni importanti interventi sul tema.
Durante le celebrazioni ha preso parola Salome Ayukuru, staff sul campo dell’UNHCR (l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), invitando le famiglie a riaccendere la tradizione dei falò come metodo di educazione familiare e per colmare il divario intergenerazionale.
Il falò viene proprio chiamo “bond fire” (letteralmente: fuoco del legame) perché non si tratta solo di un fuoco, ma di un vero e proprio strumento di socializzazione tradizionale in Africa. Le famiglie si siedono intorno al fuoco con gli anziani che raccontano storie e racconti popolari con lo scopo di educare i giovani e di rafforzare il legame familiare. Salome teme che la tradizione di questo efficace strumento di educazione e socializzazione rischi di sparire a causa dell’urbanizzazione e della tecnologia.
Salome ha affermato, inoltre, che molte nuove sfide giovanili come l’abuso di droghe, le gravidanze adolescenziali e l’abbandono scolastico, tra le altre, non sono scollegate dalla crisi del sistema familiare e dalla perdita di pratiche culturali importanti e utili come il “bond fire”.
Anche l’esperto in capacity building di ACAV, Dieudone Richard, è intervenuto esortando i giovani a sfruttare la posizione di confine unica di Koboko e la presenza dei rifugiati per costruire ponti di solidarietà con i paesi vicini. Ha consigliato ai giovani di trarre vantaggio dal progetto di formazione EUTF in corso o altri progetti di ACAV in cui giovani vulnerabili che hanno abbandonato la scuola, sia i rifugiati che della comunità locale, vengono formati in mestieri pratici come la sartoria, l’edilizia o la lavorazione del metallo per potersi emancipare e avere una fonte di sostentamento autonoma.
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